lunedì 6 novembre 2017

PARTIRIPARTI - BIRMANIA

Da Yangon a Mandalay, i nuovi orizzonti della Birmania

Combattuta tra una democrazia appena sbocciata e le tensioni legate alla tragedia umanitaria dei musulmani Roinghya, il Myanmar (nome imposto dalla giunta militare nel 1989) corre veloce verso la modernità, con l'economia cresciuta ad un tasso dell’8.3 % nel 2017 . Un Paese che va visitato in fretta, prima dell'invasione dei tycoon occidentali e del turismo di massa. Prima che vadano perse la maestosa bellezza di paesaggi e pagode e la dolcezza della gente

 

 

Fino a due anni fa si parlava di Myanmar solo in termini elogiativi per la fine della dittatura  militare e il passaggio a una qualche forma di democrazia. Per il ritrovato ruolo politico della “Lady”, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Ora c’è chi in Occidente, chiede di toglierle l’ambito riconoscimento per la tragedia umanitaria dei musulmani Roinghya. Molti hanno criticato il suo lungo silenzio su questa complessa vicenda e, quando la Lady ha tenuto finalmente un discorso al parlamento, sono arrivate subito accuse di compiacenza verso le azioni dell’esercito. Per farsi un’idea più approfondita, sarebbe bene leggersi il suo intervento in forma completa. Al di là delle diverse opinioni in merito, quel che è certo è che i due teatri dove va in scena il dramma Roinghya  sono le regioni dell’Arakan e del Rakhine. Ricchi di gas naturale. Risorse preziose che fanno gola a molti, dagli Stati asiatici alle multinazionali occidentali. Il gas è uno dei tanti patrimoni del Paese insieme a giada, oro, rubini, ambra, rame. E legname pregiato che ha subito un freno nelle esportazioni per la nuova legislazione restrittiva sul fronte della salvaguardia naturale. La democrazia e la libertà in Myanmar sono recentissime, un lampo di tempo storico. Intanto si assiste ad una modernizzazione esponenziale e accelerata. Ed è accelerata anche l’espansione  dell’economia birmana che è cresciuta ad un tasso dell’8.3 % (2017) superiore alla media di altre nazioni dell’Asean (organizzazione politica, economica e culturale del Sud Est asiatico). Le auto giapponesi stanno sostituendo bici e caretti trainati dai buoi. Una superstrada costruita in tre anni collega la capitale Yangon con la seconda città birmana, Mandalay (626, 7 km). Su 55 milioni di abitanti si contano 30 milioni di smartphone. Si cerca di riguadagnare il tempo perduto nei decenni di isolamento, embargo e gioco militare. Eppure il Myanmar resta ancora una delle nazioni più affascianti e intatte dell’Asia. Dopo anni di embargo sono arrivati tycoon occidentali. Le compagnie aeree interne sono salite da due a più di undici. Tablet alla mano, i giovani di Yangon si incontrano alla Rangoon Tea House, interno cool in cima a scale sgarrupate. Al Bogyoke market, i negozietti di rubini e lacche convivono con nuovi brand. Come Yangoods: porta iPad e borse di design, ispirate alle foto d’antan. Il Myanmar corre veloce verso la modernità. E va visitato in fretta, prima che vadano perse la maestosa bellezza di paesaggi e pagode e la dolcezza della gente. Meglio andarci in primavera o autunno: durante le vacanze d’inverno i prezzi triplicano e non si sgomita nelle località famose, invase da un paio di milioni di turisti in soli due anni.

DA MANDALAY A BAGAN
 
Mandalay è una cittadina che si candida a metropoli. Spuntano gli shopping center, il traffico romba lungo la n. 84 (le strade hanno numeri, non nomi), i turisti si accalcano nei laboratori sulla 36th, dove si sbalzano lamine d’oro per decorare le lacche e ricoprire le statue dell’Illuminato. Perché Mandalay non è solo il più importante centro di commerci e trasporti. Nel cuore dei birmani è luogo di pellegrinaggio nei suoi 730 stupa e monasteri; nel Mahamuni Temple si venera un’immagine alta 4 metri, deformata da strati d’oro ormai spessi 15 cm. Una leggenda vuole il Buddha in cima a Mandalay Hill (imperdibile al tramonto) a profetizzare la fondazione di una città dopo 2.400 anni. Ed è andata più o meno così: re Mindon ha fondato Mandalay nel 1857. Il santuario è sempre affollato di fedeli, di famiglie con bambini vestiti a festa con tulle e coroncine d’oro per il noviziato: tutti i birmani, anche da piccoli, devono sperimentare la vita in monastero almeno una volta nella vita. Mandalay prosperosa e santa. Per la Kuthodaw Paya e i suoi 792 stupa, che contengono l’insegnamento diretto del Buddha, il libro più grande del mondo. È Patrimonio Unesco, a differenza di Sandamuni, che di lastre ne ha 1.774: ma sono solo commentari, non la Parola. Ora, ma anche labora in questa città di artigiani operosi. Le matasse di seta appese ad asciugare nei vicoli sono tavolozze di giallo zafferano, viola intenso, infinite sfumature di rosso. Gli stessi colori del cielo al tramonto, da non perdere lungo l’U-Bein Bridge, ponte di teak che si allunga sul lago Taungthaman per 1.200 metri, sorretto da 1.086 pali in legno. alcuni recuperati dalla reggia distrutta di Ava, la capitale più longeva dei regni (1364- 1782), di cui non resta quasi nulla. Il viaggio prosegue fino a Yandabo lungo l’Ayeyarwaddy: il fiume madre, che dalla Cina si irradia per 2.170 chilometri, fonte di vita e commerci. Tre ore di navigazione rilassate. Yandabo è un villaggio di case in legno e foglie di palma dove si fabbricano giare d’argilla. Al di là del fiume, Pan Nyo è un altro villaggio dove allevano 4.000 bufali, condotti al bagno in tarda mattinata e al tramonto. Nella pagoda il volto del Buddha ha le fattezze dei contadini. In questo scenario da arcadia è stato inaugurato il resort Yandabo Home, sei bici e 12 bungalow su piattaforme di teak che richiamano l’architettura del Paese. Si cena in riva al fiume sotto un albero abitato da gufi chiacchieroni. Tappa successiva, Bagan, che da sola giustifica il viaggio, il tesoro d’arte birmano. Il consiglio è di proseguire (tre ore) sempre via fiume: sulle rive si profilano giungle e vette ammantate di foreste, palmeti e acacie selvatiche, banchi di sabbia alla confluenza fra Ayeyarwaddy e Chindwin.
L’IMPERDIBILE: BAGAN
 
Da noi correvano gli anni dell’Alto Medioevo quando Bagan fioriva come capitale del Primo Impero. Si dilatava con migliaia e migliaia di pagode, cuore del buddhismo. Dopo il saccheggio di Khublai Khan, di templi ne rimangono 2.200, più o meno: non sempre quelli famosi sono i più suggestivi. Dopo il terremoto dell’agosto 2016, alcuni templi non sono più accessibili per ragioni di sicurezza. Non si può mancare l’Ananda, animato dai devoti al mattino e al crepuscolo. Qui i tecnici indiani cercano di far riaffiorare i dipinti fatti intonacare dai militari per “rinfrescare” il monastero e celebrarne il millennio. Uno dei disastri della giunta, costati a Bagan il riconoscimento dell’Unesco. Vicino, il Gubyaukgyi, tempio buddista e hindu del 1113, con affreschi meravigliosi (portarsi una pila). Tanti vanno nel sobborgo di Nyaung U per il mercato e la cupola dorata della Shwezigon Paya, pochi proseguono per 250 metri fino alle grotte di Kyanzittha, con stretti corridoi umbratili e affreschi di 700, 1.000 anni fa. Ogni tempio è diverso: Lay Miat Nar, il monastero dei quattro volti di Buddha che si ripetono come un mantra sulle pareti; Nan Phaya ha solo bassorilievi e bisogna andare tre le 11 e le12, quando il sole illumina l’interno. Bagan ha i suoi riti del tramonto: i giri in calesse, in bici lungo l’Ayerwaddy, la scalata fino alla quinta terrazza della Shwesandaw Paya, che ormai è un delirio di turisti e venditori. L’alternativa? Kheminga, quasi una torre, sperduta nei campi: stessa vista a 360 gradi, stessi tramonti interminabili, ma in gioiosa solitudine. L’alba è votata ai costosi (340 €) sorvoli in mongolfiera; in questo caso l’hotel giusto è il nuovo Bagan Lodge, accanto alla base di orientalballooning.com: letti immensi come le stanze e buon cibo. Il più discusso è l’Aureum Palace, per i legami con la vecchia giunta. Si può evitare in nome del politicamente corretto, si può scegliere perché è il più fascinoso: impagabile nuotare nella piscina che incornicia un gruppo di stupa fulvi.
Lacche: Bagan ne è la capitale, con decine di fabbriche. Per andare a colpo sicuro, Lotus Collection è un laboratorio familiare dove usano bambù wapo, più flessibile, come anima di ciotole e vassoi dal fondo scuro con intarsi di madreperla.  

SUL LAGO INLE
 
Si raggiunge in aereo, ma è più suggestivo arrivarci via terra (due giorni), passando per il Popa, montagna vulcanica di 737 metri, sacra ai Nat, spiriti guardiani o dispettosi: un culto radicato. Strade vertiginose portano a Kalaw (80 chilometri dal lago), hill station al tempo del dominio britannico. Poi le grotte di Pindaya, con 8.000 statue del Buddha. Il lago Inle è l’emozione di un mondo dove ci si sposta solo con barche a motore. Di orti galleggianti che prosperano su barene di alghe e reticoli di bambù. Ma attenzione: l’Inle è la località più celebre e fotografata, da centellinare senza fretta, inoltrandosi tra i villaggi (sono 40) più lontani. Nonostante l’aspetto fatiscente di molte case a palafitta, la gente qui è presa da mille attività. Artigiani che producono sigari, ceramiche, sete di qualità eccelsa. Shee Yaung Kyun è l’ultimo maestro d’ascia del lago. La moglie accoglie gli ospiti con tè e focaccine, poi attira l’attenzione sul mercatino del cantiere dove comprare vassoi e sottopiatti in teak. Seta? La manifattura più famosa, con un centinaio di telai, è quella di Mya Setkyar: gusto, colori di sciarpe e scampoli sono insuperabili. È stata lei a filare per prima gli steli dei fiori di loto. Si scherma ridendo all’osservazione che è la donna più famosa del Myanmar dopo Aung San Suu Kyi (il cui ritratto è appeso nella seteria vicina, silkandlotusweaving.bz). Il grande lago Inle è diventato riserva della Biosfera, per fortuna. S’inizia a prendere coscienza dell’inquinamento idrico dovuto ai fertilizzanti agricoli e al proliferare di alberghi. Con un giorno in più si arriva a Kakku, 2.478 stupa del III sec. a.C. Il momento giusto per andarci è la festa del plenilunio a marzo, che attira le popolazioni Shan e altre etnie. A Kentung, il New Kyaing Tong ha l’atmosfera da ufficio sovietico, ma è il quartier generale di chi parte per i trekking nei villaggi. Obiettivo: incontrare i cacciatori Eng; le donne Akha, famose per i copricapi in metallo bugnato. Il fatto strano è che molte tribù sono cristiane, convertite dai missionari tra l’Otto-Novecento, quando spingersi qui era un’avventura da Indiana Jones. Si incontra padre angelo Sai Pyan nella cattedrale dell’Immacolata, in Tachileik-Taunggyi road: è uno Shan diventato prete a 20 anni. Padre Angelo ha una salda convinzione: grazie alla vittoria di Aung San Suu Kyi, per la prima volta il papa verrà in Myanmar. Anche questa speranza è indice di un nuovo futuro.